Al Vinitaly connubio tra i vini bellunesi e il dop Piave

Nello stand di Confagricoltura un incontro per far scoprire la realtà vitivinicola del territorio dolomitico.  Guarnieri, consorzio Coste del Feltrino: “Pronti a chiedere una doc”

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Vini di confine, dai sentori di fiori e di ciliegia, capaci di suscitare emozioni, abbinati a un formaggio descritto come un incrocio tra “Emmenthal e Parmigiano, ma dal sapore di latte di montagna e nocciole, che si scioglie in bocca come il burro”. Un’abbinata inedita, quella tra i vini bellunesi offerti con il formaggio dop Piave, che ieri per la prima volta ha calcato la passerella del Vinitaly a Verona, ottenendo grandi apprezzamenti.

Nello stand di Confagricoltura si è svolta una presentazione-degustazione dei prodotti con enologi e addetti del settore per dare risalto alla realtà vitivinicola della provincia bellunese, che nel solco di un’antica tradizione sta riscoprendo il proprio potenziale enologico, con i vitigni autoctoni e internazionali che ben si adattano al terroir e al clima dolomitico. Protagonisti al Vinitaly cinque viticoltori del Consorzio di tutela Coste del feltrino e alcuni componenti della Confraternita del formaggio dop Piave, introdotti da Alberto Marcomini, giornalista enogastronomico bellunese, Enzo Guarnieri, presidente del Consorzio di tutela Coste del Feltrino, Giampaolo Ciet, presidente di Piwi Veneto (viti resistenti), Fabio Bona, presidente della Confraternita del formaggio dop Piave e Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura Belluno.

Guarnieri ha spiegato come la viticoltura bellunese sia stata una zona di grande produzione di vino soprattutto nel Feltrino, fino alla prima metà del Novecento, con 80.000 ettolitri annui, un patrimonio disperso a causa della guerra e della filossera. “Oggi lungo i 50 chilometri che vanno dall’Alpago a Feltre sta tornando a svilupparsi una viticoltura molto interessante, che va dalla doc Prosecco ai vini resistenti fino ai vini feltrini. E’ una viticoltura di confine, con pendenze spesso elevate e difficoltà di meccanizzazione, che recupera varietà autoctone come Bianchetta, Pavana, Gata, Turca e alcune varietà internazionali che stanno dando buoni risultati nel nostro territorio, simile al Trentino, come Pinot, Chardonnay, Merlot, Traminer aromatico e Manzoni bianco.  Le 11 aziende del consorzio coltivano 20 ettari di vite per 1.200 ettolitri di vino all’anno, e altri 20 ettari entreranno in produzione nei prossimi anni. Siamo pronti a chiedere una doc: abbiamo fatto studi storici e ampelografici, che presto saranno ufficializzati, da cui emerge un’identità precisa, che rappresenta tutti i caratteri per poter chiedere una denominazione”.

Marcomini e Bona hanno fatto assaggiare il formaggio dop Piave vecchio selezione Oro, con stagionatura di 15 mesi, dal sapore intenso e fruttato, ottenuto grazie a una lavorazione tramandata nel tempo da generazioni di casari che lo rende inconfondibile nel colore, nella pasta e al palato, che si sposa, hanno spiegato, con i vini bianchi importanti e i vini rossi corposi: “Questa passerella del Vinitaly è una grande occasione per far conoscere al grande pubblico prodotti che ben si identificano con il territorio – hanno detto – e che sposano la tradizione alla tecnologia. Una bella realtà montana che sta crescendo, ma che va fatta conoscere di più”.

Diego Donazzolo, di Confagricoltura Belluno, ha auspicato che “dal Vinitaly parta la fortuna dei viticoltori e che ognuno riesca a crearsi una propria nicchia sul mercato”, mentre Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto, ha sottolineato che “questi vini bellunesi danno emozioni, che sono ciò che il consumatore cerca. Sono anche biologici e sostenibili, quindi già nel futuro della viticoltura. E grazie ai cambiamenti climatici in corso, potrebbero essere la nuova frontiera della viticoltura veneta”.

Al Vinitaly presentati i vini Granpasso (Teroldego) dell’azienda Pian Delle Vette, già vincitore di alcuni premi; il Vanduja Rosso (Pavana) della società agricola De Bacco; il Pustern bianco (bianco sur lie e Pinot bianco) dell’azienda agricola Bonan; l’Ombra del Cin (Traminer aromatico e incrocio Manzoni) dell’azienda agricola Guarnieri e il Derù (bianco spumante brut metodo Martinotti e vitigno Solaris) della Tenuta Croda Rossa, che fa parte dei vigneti resistenti risultato dell’incrocio tra la vite europea e quella americana di nuova generazione, in grado di difendersi da soli dai parassiti senza l’utilizzo della chimica.

Secondo i dati di Veneto Agricoltura relativi alla vendemmia 2017, nel Bellunese ci sono 167,67 ettari di superficie vitata, in gran parte a bacca bianca. Le aziende vitivinicole sono 96, con una media di 1,54 ettari di media. In crescita la varietà Glera, con 46,94 ettari (+ 14,27%), lo Chardonnay con 19,84 (+ 4,4%) e il Pinot Grigio con 11,27 (+ 8,30%).

LE STORIE DEI VITICOLTORI

Enzo Guarnieri ha acquisito un vigneto da un prozio che si chiamava Angelo detto Cin. Di qui il nome del vino Ombra del Cin: “Il colle ha una ventilazione eccezionale per tutta l’estate, che favorisce una maturazione ottimale dell’uva. Io ho scelto di unire due varietà diverse con l’obiettivo di dimostrare che nella nostra zona si possono realizzare vini aromatici e con gradazione alcolica a standard elevato”.

Marco De Bacco, dell’omonima azienda agricola che produce il Vanduja Rosso, ha ereditato dai nonni un vigneto del 1929, dove si trovavano già tutte le varietà autoctone della zona: “Ho iniziato dieci anni fa a far rinascere un vigneto dimenticato, per pura passione. Ho voluto crederci quando gli altri non avrebbero scommesso un euro. Ora la passione è diventata un lavoro”.

Egidio d’Incà, che produce il Granpasso, ha pure ereditato i vigneti dei nonni: “La filossera aveva decimato tutto. Nel Duemila ho reimpiantato le vigne e oggi sono arrivato a produrre 12.000 bottiglie, vincendo anche premi importanti. La redditività deve ancora arrivare, dobbiamo riuscire a farci conoscere anche oltre le montagne bellunesi”.

Marco Bonan, dell’azienda omonima che produce il Pustern, ha spiegato che “il nostro vigneto è in un posto che non vede mai il sole d’inverno. Il Pustern, vino spumantizzato, è una scommessa riuscita”.

Paolo Rimini, tenuta Croda Rossa, che produce il Derù, ha dieci ettari di varietà resistenti, alle pendici delle Prealpi. L’anno scorso ha fatto solo due trattamenti contro la peronospera.